YAMA
E NIYAMA:
IL
COMPORTAMENTO VERSO SE STESSI E GLI ALTRI
Cosa consiglia lo yoga riguardo
all’interazione con gli altri e al comportamento verso noi stessi?
Nello yoga, i comportamenti verso
gli altri e l’ambiente si chiamano yama e quelli verso noi stessi si chiamano
niyama.
Gli yama e i niyama riguardano il
comportamento sociale e il nostro modo di vita, il modo in cui interagiamo con
gli altri e con l’ambiente, il modo con cui affrontiamo i problemi. Tutto ciò
fa parte dello yoga, ma non può venire “praticato” volontariamente, Ciò che
possiamo praticare sono gli āsana e il prānāyāma, che ci rendono consapevoli
del punto in cui siamo, delle posizioni che difendiamo e del modo in cui
guardiamo le cose. Riconoscere gli errori è il primo passo verso la chiarezza.
Poi possiamo iniziare a introdurre cambiamenti graduali nel modo in cui
manifestiamo il nostro rispetto per la natura e in cui ci rapportiamo agli
amici.
Nessuno può cambiare in un
giorno, ma lo yoga ci aiuta a cambiare poco a poco i nostri comportamenti, i
nostri yama (disciplina che regola le nostre azioni nel mondo) e niyama (disciplina
personale). Il contrario non può funzionare.
Gli yama e niyama sono le due
prime due membra delle otto membra
dello yoga che sono :
yama, i comportamenti verso ciò che ci circonda.
Niyama, i comportamenti verso noi stessi.
Asanā, la pratica degli esercizi fisici
Prānāyāma, la pratica degli esercizi di respirazione.
Pratyāhāra, il controllo dei sensi.
Dhārāna, la capacità di dirigere la mente.
Dhyāna, la capacita di entrare in rapporto con ciò che
cerchiamo di comprendere.
Samādi, la completa fusione con l’oggetto da comprendere.
Gli sono yama: Ahimsā, satya, asteya, brahmacarya,
aparigraha.
Ahimsā
Il primo modello di comportamento
è chiamato ahimsā. La parola himsā
significa ‘ingiustizia’ o ‘crudeltà’, haimsā è molto più
dell’assenza di himsā che la a privativa
suggerirebbe. L’ahimsā è molto più di non fare violenza. Significa gentilezza
amicizia, amorevole considerazione per le persone e le cose. E’ una parola su
cui dobbiamo riflettere. Non significa solo mangiare carne o pesce, o non
offendere. Significa trattare gli altri con attenzione e considerazione e anche
trattare con gentilezza se stessi. Se siamo vegetariani e ci troviamo in una
situazione in cui l’unico cibo è la carne, dobbiamo morire di fame o mangiare
quello che c’è?
Se in questa vita abbiamo ancora
dei doveri ad esempio la responsabilità di una famiglia, non dobbiamo metterci
in situazioni pericolose per noi o che presentino il rischio di impedirci di
adempiere i nostri doveri. Quindi, nell’esempio precedente, la risposta è
semplice: aggrapparci ciecamente ai nostri principi sarebbe arroganza, mancanza
di considerazione per gli altri.
L’ahinsā si applica anche ai
nostri doveri e responsabilità. Significa difenderci se la nostra vita è
minacciata.
Adottare in ogni situazione un
comportamento ponderato: questo è il senso dell’ahimsā.
Satya
Verità Satya significa ‘dire il
vero’, ma in alcuni casi la verità non è necessaria se danneggia inutilmente un
altro. Dobbiamo considerare bene cosa diciamo, come lo diciamo e che effetto
hanno sugli altri le nostre parole. Se dire la verità ha conseguenze negative
per un’altra persona, è meglio tacere. Il satya non deve mai porsi in contrasto
con la regola dell’ahimsa. Il MahābhāŚrata,
la grande epopea indiana, dice: “Di la verità piacevole, non dire le verità
spiacevoli. Non mentire anche se si tratta di menzogne dolci all’orecchio.
Questa è l’eterna legge del dharma” (dovere, valore etico).
Asteya
Il terzo yama è asteya. Steya significa ‘rubare’, e asteya il suo contrario: non
prendere ciò che non ti appartiene. Significa anche che se qualcuno ci affida
qualcosa o ci da la sua fiducia, non dobbiamo avvantaggiarcene a fini
personali.
Brahmacarya
La parola è composta dalla radice
car, ‘muoversi’, e da brahma ‘verità’, nel senso di verità essenziale. Il
brahmacarya e quindi il movimento verso l’essenziale. In genere viene
presentato come astinenza, soprattutto come astinenza sessuale. Ma meglio
ancora, il brahmacarya è l’invito a instaurare relazioni che aiutino a camminare verso la
verità suprema. Se in queste relazioni è presente il sesso, dobbiamo fare
attenzione che non ci svii dalla direzione che stiamo seguendo. Sulla via della
ricerca della verità, ci sono alcuni modi per controllare i sensi e il
desiderio sessuale. Questo controllo non si identifica con l’astinenza totale.
In India abbiamo un grande
rispetto per la famiglia. Secondo la tradizione indiana, ogni cosa nella vita
ha il suo tempo e il suo luogo. Dividiamo la vita in quattro stadi: il primo è
quello dell’infanzia, il secondo quello degli studi, il terzo comprende la
formazione di una famiglia e l’educazione dei figli, e il quarto e quello in
cui, terminate le responsabilità familiari, ci si può dedicare interamente alla
librazione e alla ricerca della verità.
Nel quarto stadio della vita
tutti possono diventare sannyasin cioè
monaci o monache. Ma un sannyasin deve
elemosinare il cibo da persone ancora legate alla vita della famiglia. Le
Upanisad consigliano di sposarsi e procreare subito dopo aver finito gli studi.
Per questo il brahmacarya non indica piuttosto il celibato. Piuttosto indica un
comportamento responsabile riguardo al camino verso la verità.
Aparigraha
L’ultimo yama si chiama aparigraha,
termine che significa “non toccare” o “non afferrare l’occasione”.
Parigraha vuol dire “prendere afferrare” .Aparigraha significa quindi prendere
solo ciò che è necessario e non sfruttare a nostro vantaggio le situazioni.
I
NIYAMA
Come i cinque yama, anche i niyama
non sono solo aggetto di studio teorico, e rappresentano molto più del semplice
comportamento. In riferimento agli yama, i nyama sono più intimi e personali.
Indica l’atteggiamento che adottiamo verso noi stessi.
Śauca
Il primo niyama Śauca, la
“pulizia”. Śauca ha un aspetto esterno e uno interno. La pulizia esterna è
quella del corpo; la pulizia interna ha a che vedere tanto con la salute del
corpo che con la chiarezza della mente. Gli asanā e il pranāyāma sono strumenti
essenziali per la pulizia interna.
Santosa
Il secondo niyama è santosa , modestia e la capacità di accontentarci di ciò che
abbiamo. Molto spesso smaniamo per vedere i risultati delle azioni, e
altrettanto spesso restiamo delusi. Invece di dispiacersi, accettiamo
semplicemente le cose nel modo in cui si sono svolte le cose. Questo è il vero
significato di santosa: accettare ciò che viene. Un commento agli yoga Sutra dice “accontentarsi vale più
di sedici cieli”. Invece di lamentarsi per qualcosa che non va, accettiamo ciò
che è accaduto e impariamo da esso. Il santosa comprende le attività mentali
come lo studio, gli sforzi fisici e il modo in cui ci guadagniamo da vivere.
Riguarda il nostro modo di rapportarci a ciò che abbiamo e alle cose che Dio ci
ha dato.
Tapas
Il terzo niyama è tapas nel contesto dei niyama il tapas indica tutto ciò che
facciamo per mantenere il corpo in forma.
Letteralmente significa
“scaldare” il corpo e così facendo purificarlo. Dietro il concetto di tapas c’è
l’idea della possibilità di sbarazzarci delle scorie fisiche. Ho già parlato
delle āsana del prānāyāma come strumenti per mantenerci in salute. Un’ altra
forma di tapas è fare attenzione a ciò che mangiamo. Mangiare se non abbiamo
fame è l’opposto di tapas. L’attenzione alla posizione del corpo. L’Attenzione
alle abitudini alimentari e l’attenzione al respiro sono forme di tapas che
contribuiscono a evitare il deposito di scorie nel corpo, inclusa l’obesità e
la respirazione incompleta.
Il tapas mantiene il corpo in
forma e salute.
Svādhyāya
Il Quarto niyama è svādhyāya,
sva significa “sé” o “appartenenza a me”, e
adhyāya “esame indagine”
(letteralmente avvicinarsi a qualcosa).
Svādhyāya significa quindi
avvicinarsi a se stessi, cioè Studiare se stessi. Qualunque studio o
riflessione o ascolto che aiuta a conoscere meglio se stessi è svādhyāya. Nel
contesto di niyama, questo termine viene anche tradotto i come “studio dei
testi antichi”. Lo yoga infatti ci suggerisce di leggere i testi antichi.
Perché? Perche non basta stare seduti a contemplare le cose, abbiamo bisogno di
punti di riferimento. Può essere la Bibbia, un testo sacro che riteniamo
importante, o gli Yoga Sutra.
Negli Yoga Sutra si dice infatti
che, progredendo nell’investigazione di noi stessi, scopriamo a poco a poco un
collegamento con le leggi divine che i profeti che le hanno rivelate. E, poiché
a questo scopo si usa molto la recitazione di mantra, troviamo svadhyaya
tradotto spesso come “ ripetizione di mantra”.
IŚvarapranidhānā
L’ultimo niyama è già stato
trattato nella prima parte. IŚvarapranidhānā significa “deporre tutte le nostre azioni ai piedi di Dio”. Poiché le nostre azioni sono spesso
mosse da avidya, spesso risultano sbagliate. Per questo motivo santosa, la
modestia, è così importante: basta sapere che abbiamo fatto del nostro meglio.
Il resto lo lasciamo a un potere superiore. Nel contesto di niyama, possiamo
definire iŚvarapranidhānā come l’offerta a Dio dei frutti delle nostre azioni
come preghiera quotidiana.
Tratto da: IL CUORE DELLO
YOGA di T.K.V. Desikachar